lunedì 11 dicembre 2017

Le metafore della cosa artificiale

Fin dalle epoche più antiche, ai capelli è stato attribuito un valore antropologico e sociale notevole: essi, infatti, furono protagonisti di vari riti d’iniziazione, i quali sancivano il passaggio dall’infanzia alla pubertà; rivelatori di forza in età adulta, e, in coincidenza con la loro caduta, segni di sapienza.

Nella storia della cultura di matrice occidentale una gran massa di capelli costituiva patrimonio indispensabile della potenza di un sovrano: basti pensare alla parrucca inanellata di boccoli di Luigi XIV ed al fatto che l’appellativo di “Cesare” – “Kaiser” – “Zar“, attribuito nel corso dei secoli a sovrani o condottieri, ha anche un risvolto etimologico riferito alla lunga chioma da tagliare. La stessa corona regale, del resto, simboleggia un abbellimento della capigliatura, e, ad onor del vero, svolge anche un’opera di dissimulazione dell’incipiente calvizie.

Ricordiamo che nella mitologia greca si fa menzione di numerose figure femminili con chiome di rara bellezza: Afrodite, la quale avvolgeva le sue nudità fra i suoi lunghi capelli biondi, durante la toelette; Arianna, che con la sua bellissima criniera aleggiante, conquistò Bacco.

La metafora dei capelli – serpenti, che, immediatamente, ci riporta al mito di Medusa, è estremamente eloquente: essa riflette, infatti, l’immagine tortuosa e tormentata dell’amore che permette agli occhi di entrare, ma non di uscire. Ma non solo: essa ripropone l’universale tradizione che lega lo strisciante animale alle donne, in quanto signore della fecondità, immagine ambivalente di utero e fallo, ma anche incarnazione di Satana.

I lunghi capelli dell’ambiguità




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